Friday, December 24, 2010

Da dietro il vetro

Fuori freddo. Dentro caldo. Vetri separano la mia poltrona dalla strada. Pace della domenica mattina e jeans che non cambio da tre giorni. Poltrona del bar di pelle morbida che si modella al mio sedermi. Confortevole. Guardo il mondo scorrere al di la' del vetro. Bambine robot vestite uguali seguite da genitori robot vestiti uguali marciano ritmicamente al ritmo del dovere ritmati come marionette che eseguono comandi. Uno sgambetto. Ci vorrebbe uno sgambetto.

Sunday, December 19, 2010

Dal bus

La posizione era disumana. Il gradino freddo reggeva la tempia con il suo angolo. Spigoloso e duro come la pietra sulla pelle che si deformava adattandosi disordinatamente a quella forma geometricamente esatta e tagliente . Il corpo di traverso, innaturalmente posato sui gradini indicava inevitabile sofferenza. Occhi chiusi. Vento freddo di Novembre delle vie di NY. Nessuno si muove. Nessuno. Nemmeno io che sono qui a scrivere e che adesso a posteriori cerco una ragione buona. Se avessi mosso un dito non avrei almeno subito la violenza di questo reale. Lo avrei combattuto con una azione, con un gesto contrario e compensatore. Se fosse stato un figlio o un parente non lo avremmo lasciato li. Parente e figlio di qualcuno deve essere.  Pagine di storia di vita scritte su carta straccia. Dovrei scendere e cambiare quel minimo di mondo di cui mi viene data la possibilita' di cambiare. Mi volto invece. Mi volto dicendo che non cambierebbe nulla e domani sarebbe lo stesso. o forse e' apposta su quel gradino. Apposta perche' io mi senta cosi. E che non devo caderci. Il freddo di quel gradino mi entrato dentro. E adesso quello spigolo regge il mio di cuore.

Friday, December 17, 2010

Performance

Sale sul palco e dice la sua. Non l'ha detta per tanto tempo. E' un vortice.  E' un vortice e lo vedo e mi ci lascio andare. La gente abbassa gli occhi, la gente applaude. Ha preso il cuore con le sue parole straniere e con quella verita' un po' di tutti. Li ha uniti insieme e adesso la portano in trionfo. Ha detto quello che non si poteva dire o che si vorrebbe dire ma non e' mai la volta buona e si tira avanti. Perche' la sofferenza e' troppo dolorosa e si abbassano gli occhi.  Ha detto un segreto suo ma di quasi tutti e ha regalato un fiore  prima di scendere dal palco. Un fiore di speranza.

Saturday, December 11, 2010

Risveglio

I miei occhi si aprono sul portiere  di hokey che con le gambe aperte e le braccia in alto aspetta. Cosi vedo i cinque vertici dorati del pentagono della ceiling fan - ferma-  sopra il letto. Sempre li pronto che aspetta. Quando gira, la fan, invece e' tutta un'altra cosa. Sa di Cuba, in slow motion con la musica in sottofondo e il caldo afoso di NYC. Ci ascolto i podcast sotto; The Moth o Selected Shorts cosi. E sento i muscoli che si lasciano e gli occhi che si chiudono e mi do' al racconto o lo cambio se non mi prende. Le gambe larghe e le braccia in alto anche io come il mio giocatore di hockey.
Non ho la sveglia. Uso quella del mio corpo che immancabilmente mi fa aprire gli occhi al tempo buono. Il risveglio dura poco. Lo sai che e finito quando la coperta o il lenzuolo sono forzati a scoprire il corpo e senti la differenza di temperatura sulla pelle e lo scatto dei muscoli che si tendono brevemente per il movimento che si sta per compiere. non ci penso mai ad alzarmi come atto.  Semplicemente succede. Cambio di energia dentro. La bellezza delle possibilita' di una giornata intera davanti.

Thursday, December 9, 2010

Il Vicepresidente

Lo vedo in fondo al corridoio. Alto con i capelli grigi di un uomo giovane. La mano abbronzata si tende, la vedo dopo il grigio metallo dei suoi occhi. Rughe di sole e di montagna. Sportivo ma dai modi gentilissimi. Niente laptop ma un quaderno blu quelli con l'elastico elegante che li tiene chiusi. Si vede che la giacca non e' il suo abbigliamento usuale. I modi sono affascinanti e non posso non reagire a mia volta. Connessione la sentiamo entrambi. E' inconsueto per me che tendo di preferenza a non mescolare il personale con gli affari.E' una piccola ditta che e' stata recentemente riacquistata da una piu' grande con la speranza di avere una chance a questo businness emergente. Non posso non farmi prendere dalle sue parole. la qualita' della vita, che e' troppo breve dice e poi la liberta'. Cosi da NYC si e' spostato in Utah, perche'  e' a cinque minuti dai campi da sci. Tutti appassionati in famiglia. E li si sente libero mi dice.Utah e' proprio una scelta afferma la mia voce quasi istintivamente. E che nel piccolo paesino dove vive conosce tutti e la natura e la liberta',  e sento la pausa nella sua voce  e gli occhi nei miei, e' spettacolare. Capisco che se ripetessi io la stessa frase non sarei credibile. Il grigio dei suoi occhi si accende e immagino rughe delle mani intorno ad una racchetta da sci o una corda da montagna. Quando lo chiamo sul cellulare, un numero di Austin, risponde la segreteria, una voce di bambina dice che il suo babbo non c'e' e di lasciare un messaggio. mi parla di Susi al telefono in un'altra occasione, che ha vent'anni adesso. Quel messaggio lo ha registrato per un evento speciale, 15 anni fa e non non si sarebbe potuto cambiare per niente al mondo.
L'altro ieri ricevo una lettera di carta quella bella, con un biglietto e una cartolina incollata sopra. Sono le montagne. Le sue. Il biglietto e' scritto a mano e le parole hanno poco poco di affari e tanto tanto di vita. Non so se comprero' questo prodotto alla fine. Ma so che il numero di telefono lo tengo. "Mark let's go for a drink" ho un figlio e storie che nemmeno immagini. Come le mie montagne mi dice? Sorrido annuendo.

Tuesday, December 7, 2010

Il cinese

Era entrato in silenzio. Tuta blu e maglietta bianca senza scritte. Raro. Qui negli states che tutte le t-shirts c'hanno sopra qualcosa che sembrano pubblicita' ambulanti. Silenzio, in un angolo mentre le palline sui tavoli saltavano veloci, piu' di 150 kilometri l'ora avevo letto tanto tempo fa. Un tavolo si libera. Il cinese accetta l'invito con un inchino. Il suo avversario e' molto forte. Ci avevo giocato prima e mi aveva fatto sentire tutto il peso degli anni e dell'allenamento mancato. Fermo davanti al tavolo di gioco, il giocatore cinese prende la racchetta a rovescio, come fanno loro. Il manico e' speciale, e' fatto su misura. Lo noto e capisco che sara' spettacolo. E' velocissimo, sembra sempre fermo, a parte i movimenti fulminei e precisissimi della mano, la palla e' velocissima. Dopo pochi scambi fa segno che la palla non va. "No good" dice. Ne tira fuori un'altra dalla tasca. L'americano, suo avversario la tocca, sembra perplesso dapprima e poi accetta di usarla coronando l'atto di solite battute. Il cinese zitto. Comincia la partita. Il mio occhio e' su di lui e su quel poco delle sue espressioni che posso catturare. Gli occhi, i suoi sono velocissimi, seguono la palla, colpiscono a segno. L'americano suda. Il cinese zitto. Penso a lui da piccolo, ad allenarsi, deve essere molti anni che gioca per giocare cosi'. Penso alle scuole in Beijng dove i bimbi vengono tolti alla famiglia quasi, per poter progredire. Quel silenzio e quella disciplina devono venire da li. La partita prosegue fra la voce delle imprecazioni dell'americano che sta perdendo e quelle mani velocissime e silenziose che rispondono ad attacchi violenti e sferrano colpi articolati e sofisticati che fanno guizzare l'americano colto di sopresa. La gente intorno e' presa da tanta energia e bellezza. E' lo sport e il suo senso che trascinano. La partita finisce. Il cinese ha vinto, con il suo silenzio e la sua disciplina di anni, la sua bravura e la sua incredibile modestia. China il capo e dice 'Have to go thanks, nice match'. Tuta blu e maglietta senza scritte. Come e' venuto se ne va, e li nessuno sa il suo nome.

Sunday, December 5, 2010

L'uomo delle pulizie

L'ho visto per la prima volta al mio piano. Una mattina. Sette e mezza. Silenzio dei palazzi. Alveari di uffici. Luce elettrica. Solo il cigolo lento delle ruote del suo carrello. Detersivi a destra. Bottiglie colorate. Sporche. A sinistra stracci e ricambi. L' uomo delle pulizie e' solo. Solo anche nell' ascensore cosi' nessuno deve stare vicino al carrello. Anche alla mensa. Primo tavolo, prima fila. Coca e hamburger. Ripetitivo come un orologio a cucu'. Rassegnazione scritta a tratti grossi. Ieri ho preso l'ascensore con l'uomo delle pulizie. Dentro in due. Soli  Sorriso accennato. Scambiato. Momento di soliderieta' umana.

Friday, December 3, 2010

Il giocatore

E' entrato in giacca di velluto, scarpe di camoscio scuro e una rachettina da quattro soldi. Stride con tutte le tute e l'equipaggamento sportivo di marca in quella sala. Occhi scuri e forti, gioca per vincere e combattere, e' un soldato, e' un paladino. Le scarpe a punta fan tic tic aritmicamente seguendo i movimenti della palla.. Si batte si batte e vince perche' ha la forza dentro, che il gicatore davanti a lui, anche se piu' bravo tecnicamente non non ha.

Wednesday, December 1, 2010

Gli amanti

Causa naturale. Imprevisti giornalieri. Gli amanti temono temono. La routine rassicurante dell'esserci viene spezzata dal caso. Gli amanti fremono. Gli ho lasciato un messaggio e non risponde. Non l'ho trovata dove la trovo sempre. Gli amanti pensano sempre il peggio. Che l'amore gli venga tolto. Che i fiori vengono recisi. Che le parole si fermino. Che i pensieri si affievoliscano. Hanno bisogno di nutrirsi di quel flusso furioso di umanita' idealizzata che li alimenta.  E invece era il caso. Il caso furbetto che fa i dispetti. Quale sollievo, che cuore riempito, che piccola intensita' di felicita'. L'amore ritorna. Si rassicurano. E il cuore si ferma per un po' a riposare. Gli amanti sono foglie nel vento della vita.

Monday, November 29, 2010

Tanti anni fa

Lo diceva dalle sue maniche lunghe del giubbotto jeans che sapeva ancora di viaggio e di liberta', di lancette piegate e di baci sul collo. Lo diceva con le parole che le cadevano ancora dalle mani, con gli occhi  della sua terra e con i mezzi pensieri a quelle mille parole che si  ritrovava intorno cosi' spesso che ci aveva oramai fatto l'abitudine.
Proviamo a confonderci nello specchio di quella pozzanghera. Ha appena piovuto e sei tutta inzuppata e se potessi ti abbraccerei. Un abbraccio puo' far scoprire un segreto che abbiamo  dentro da qualche parte.   Se lo trovi ti senti in paradiso anche se a volte dura poco. Un tango argentino suovana in quel juxe box che i fianchi seguivano nel suo  il ritmo assieme al cuore, lasciato su di una spiagga ad asciugare. Ma quante parole ma quante dico. Si srotolano e tu  guardi e io scrivo in questa tua storia che un giorno racconterai a qualcuno.

Saturday, November 27, 2010

Divano per due

Si ti ho detto che rimango. Si anche cosi. Anche sul divano che e' piccolo perche' non avevi i soldi quando lo hai comperato. No non rimango perche' sono triste o lo sei tu. Rimango e basta. La vita e' fatta di azioni che non devono essere sempre spiegate. Se me lo permetti rimango. Rimango perche' non mi basta. Non mi bastano le parole. A te si? Ecco vedi le parole non bastano mai. Sono solo una mera e limitata interpretazione della realta'. Pensa se fossimo muti. I muti si amano ben pure no? No parlo solo di muti che non sanno scrivere. Tu ne sai sempre una piu' del diavolo. Sono un muto adesso, di quelli che non sa scrivere e rimango qui. Si lo prendo un caffe'. Soprattutto se sei cosi gentile. Si ho detto gentile. Ancora senza zucchero? dove posso andarlo a rubare? alle tre del mattino? Ti racconto una storia. Si ci stiamo sul divano piccolo. Anche in due ci  siamo sempre stati. Ci staremo anche questa volta.

Thursday, November 25, 2010

Workers

Il GPS sceglie sempre la strada piu' corta. Non sa se una certa borgata e' bella o brutta povera o ricca. Ti porta dritto dove devi andare  non fa discriminazioni, Cosi oggi che dovevo attraversare mezza contea ho selezionato gli indirizzi, avviato l'automobile  e seguito scrupolosamente le indicazioni. La contea l'ho attraversata in diagonale una strada sola per decine di miglia. Il paesaggio cambia e la strada si allarga su prati con niente intorno o si avvita su paesini con una parvenza di centro. Arrivo cosi ad una stazione, il paesaggio e 'degradato repentinamente e gli edifici  si sono invecchiati e rattristati. Un hotel offre camere su quel poco di insegna che non si e' completamente scolorita per poche decine di dollari. Automobili vecchie e non mantenute occupano in ordine sparso alcuni posteggi nel piazzale davanti. E li vicino si apre il piazzale di una stazione di treno malandata. Uomini molti stanno seduti o in piedi aspettando. Non capisco all'inizio. In questa terra deve non vedi un'anima a piedi e dove i marciapiedi finiscono nel nulla e' inconsueto vedere  cosi tanta gente. Non e' gente. Sono uomini solo uomini. che aspettano Mi accorgo dai riflessi delle borse malandate che ognuno si porta vicino, sono martelli e cacciaviti e strumenti di lavoro. Costruzione penso. Arriva un camion. vuoto di quelli aperti dietro. Il conduttore scende e il gruppo di uomini si fa avanti. Quasi tutti ispanici o mediorientali segnati sul viso senza un sorriso. Si fanno avanti e il conduttore indica questo e quello, parla con qualcuno di quei molti che gli stanno quasi attaccati. Quelli scelti salgono sul camion con le loro borse gli altri rimangono a terra. Di quelli che rimangono  c'e' chi si accende una sigaretta chi piega in giu' il cappello di paglia consumata. Lavoratori a cottimo, alla giornata aspettano il tempo che passa e sperano in un prossimo camion. Il camion e' lontano oramai, nessuno l'ha seguito con lo sguardo. La mia realta' si confronta con la loro per quel poco che so e posso percepirla. La strada continua. Paese ricco adesso con i lampioni belli in legno stile liberty. Sono poche centinaia di metri ma abissi.
abissi americani.

Fiorellino e Fiorellina

Un fiorellino era in un campo tutto solo. Pensava e pensava e pensava. Aveva un solo pensiero quello del suo amore per una fiorellina che aveva visto una volta sola un po' di tempo prima e a cui aveva rivolto un sorriso grande come il mondo. E il fiorellino da quel giorno era disperato, passava il suo tempo a tirare i suoi petali, "M'ama, non m'ama" diceva e alla fine rimaneva tutto nudo, solo con il calice e il polline in testa, e doveva aspettare dei giorni infreddolito che i petali ricrescessero per strapparli ancora.
Un bel mattino il vento ritorno' e una fiorellina bellissima cadde vicino a lui. Lui la guardava. Era lei! era proprio lei, caduta dal cielo, da un mazzo che si sarebbe perso in qualche occasione, in un matrimonio, o un evento importante, e il caso, la fortuna o il desitno aveva fatto proprio in modo che lei cadesse li in quel campo vicino a lui vicino. Abbastanza per vederla, troppo lontano per anche sfiorarla. Il fiorellino era un bel fiorellino erto su se stesso e fiero di essere tale. Non si era mai piegato fino ad allora, mai. Aveva sentito tante storie sui fiorellini che si piegano e che poi muoiono o si ammalano. Aveva il terrore di piegarsi. Da sempre. Il cuore batte' forte. La fiorellina sorrideva con i petali aperti che si confondevano nel verde dell'erba. Il cuore del fiorellino batteva che sembrava un tamburo scatenato. E senza neanche pensare ma solo sentendo si piego'.  Si piego' fino alla fiorellina, fino ai suoi petali, fino al suo polline che senti' posarsi su di lui. Una voce rompeva quel silenzio di campo di primavera che li avvolgeva. "Ti vengo a prendere" sussurrava il fiorellino a quei bei petali della fiorellina. "ti vengo a prendere". La strinse. Infine e la porto a se'. Fece spazio nella sua terra e nelle sue radici. La lascio' crescere e nutrirsi di cio' che si nutriva lui. Sono ancora li' quei due fiorellini che cantano e ridono insieme quando il vento li attraversa.

Monday, November 22, 2010

Kevin

Gli avevo detto di chiamare prima di partire da casa e cosi aveva fatto anche se mi aveva chiamato sul numero sbagliato per cui non ci eravamo sentiti. Mi affaccio alla finestra e lo trovo gia' li che lavora. Poteva almeno suonare mi dico. E rimango a guardare cosa fa. "Hi" pronuncio nel mio inglese-italiano e lui abbozza un cenno con tre chiodi in bocca, dall'alto della scala, estesa fino al tetto piu alto' della casa. E' un ragazzo che solo a vederlo lo sai che e' americano, con la faccia del nordico immigrato da un numero di generazioni sufficenti perche' le sue origini siano un ricordo lontano. Olandese o danese. Spalle larghe da palestra e occhiali neri a fascia. Poliziotto di certo. Le parole non sono il suo forte e io sono italiano e con le parole ci vivo. Bella coppia mi dico. E lui intanto continua il lavoro con una precisione che apprezzo e le parole di sicuro sarebbero un intralcio. Io e Kevin, un sole afoso di NYC, io sotto e lui sopra il tetto e il silenzio della mattina di un sobborgo americano per bene intorno a noi. Passa cosi'  tempo e le riparazioni sono quasi finite. Si muove agile sul tetto, pianta chiodi, sistema, rende nuovo cio’ che era consumato. “Kevin you better drink some water” spezzo il silenzio cosi'. E lui annuisce. Mette via gli attrezzi. La scala lunga, la tiene come un giocoliere del circo e la fa atterrare quasi silenziosamente sui supporti del suo camioncino. Lo invito dentro e preparo l’acqua. Frizzante. Toglie gli occhiali. Adesso sembra un bambino con il suo bicchiere in mano. E' poliziotto. Si e’ fatto male ad un piede. L’hanno messo in ufficio, e non e’ piu' fuori di pattuglia mi dice. Pattuglia?, che qui non succeede mai niente, al massimo gatti da tirare giu’ dagli alberi, ma non glielo dico. Kevin, magari un giorno mi darai pure una multa penso per aver parcheggiato storto. “Good job”  dico, perche’ e vero e si illumina di un sorriso, lo fa davvero perche’ gli piace questo lavoro. Kevin poliziotto operaio.

Monday, June 14, 2010

le prime centoquaranta

 Questo e' un luogo di raccolta, per me per primo, per tracciare nel tempo delle parole di vita, limandole per farci stare tutto quello che c'e' dentro.