Monday, November 29, 2010

Tanti anni fa

Lo diceva dalle sue maniche lunghe del giubbotto jeans che sapeva ancora di viaggio e di liberta', di lancette piegate e di baci sul collo. Lo diceva con le parole che le cadevano ancora dalle mani, con gli occhi  della sua terra e con i mezzi pensieri a quelle mille parole che si  ritrovava intorno cosi' spesso che ci aveva oramai fatto l'abitudine.
Proviamo a confonderci nello specchio di quella pozzanghera. Ha appena piovuto e sei tutta inzuppata e se potessi ti abbraccerei. Un abbraccio puo' far scoprire un segreto che abbiamo  dentro da qualche parte.   Se lo trovi ti senti in paradiso anche se a volte dura poco. Un tango argentino suovana in quel juxe box che i fianchi seguivano nel suo  il ritmo assieme al cuore, lasciato su di una spiagga ad asciugare. Ma quante parole ma quante dico. Si srotolano e tu  guardi e io scrivo in questa tua storia che un giorno racconterai a qualcuno.

Saturday, November 27, 2010

Divano per due

Si ti ho detto che rimango. Si anche cosi. Anche sul divano che e' piccolo perche' non avevi i soldi quando lo hai comperato. No non rimango perche' sono triste o lo sei tu. Rimango e basta. La vita e' fatta di azioni che non devono essere sempre spiegate. Se me lo permetti rimango. Rimango perche' non mi basta. Non mi bastano le parole. A te si? Ecco vedi le parole non bastano mai. Sono solo una mera e limitata interpretazione della realta'. Pensa se fossimo muti. I muti si amano ben pure no? No parlo solo di muti che non sanno scrivere. Tu ne sai sempre una piu' del diavolo. Sono un muto adesso, di quelli che non sa scrivere e rimango qui. Si lo prendo un caffe'. Soprattutto se sei cosi gentile. Si ho detto gentile. Ancora senza zucchero? dove posso andarlo a rubare? alle tre del mattino? Ti racconto una storia. Si ci stiamo sul divano piccolo. Anche in due ci  siamo sempre stati. Ci staremo anche questa volta.

Thursday, November 25, 2010

Workers

Il GPS sceglie sempre la strada piu' corta. Non sa se una certa borgata e' bella o brutta povera o ricca. Ti porta dritto dove devi andare  non fa discriminazioni, Cosi oggi che dovevo attraversare mezza contea ho selezionato gli indirizzi, avviato l'automobile  e seguito scrupolosamente le indicazioni. La contea l'ho attraversata in diagonale una strada sola per decine di miglia. Il paesaggio cambia e la strada si allarga su prati con niente intorno o si avvita su paesini con una parvenza di centro. Arrivo cosi ad una stazione, il paesaggio e 'degradato repentinamente e gli edifici  si sono invecchiati e rattristati. Un hotel offre camere su quel poco di insegna che non si e' completamente scolorita per poche decine di dollari. Automobili vecchie e non mantenute occupano in ordine sparso alcuni posteggi nel piazzale davanti. E li vicino si apre il piazzale di una stazione di treno malandata. Uomini molti stanno seduti o in piedi aspettando. Non capisco all'inizio. In questa terra deve non vedi un'anima a piedi e dove i marciapiedi finiscono nel nulla e' inconsueto vedere  cosi tanta gente. Non e' gente. Sono uomini solo uomini. che aspettano Mi accorgo dai riflessi delle borse malandate che ognuno si porta vicino, sono martelli e cacciaviti e strumenti di lavoro. Costruzione penso. Arriva un camion. vuoto di quelli aperti dietro. Il conduttore scende e il gruppo di uomini si fa avanti. Quasi tutti ispanici o mediorientali segnati sul viso senza un sorriso. Si fanno avanti e il conduttore indica questo e quello, parla con qualcuno di quei molti che gli stanno quasi attaccati. Quelli scelti salgono sul camion con le loro borse gli altri rimangono a terra. Di quelli che rimangono  c'e' chi si accende una sigaretta chi piega in giu' il cappello di paglia consumata. Lavoratori a cottimo, alla giornata aspettano il tempo che passa e sperano in un prossimo camion. Il camion e' lontano oramai, nessuno l'ha seguito con lo sguardo. La mia realta' si confronta con la loro per quel poco che so e posso percepirla. La strada continua. Paese ricco adesso con i lampioni belli in legno stile liberty. Sono poche centinaia di metri ma abissi.
abissi americani.

Fiorellino e Fiorellina

Un fiorellino era in un campo tutto solo. Pensava e pensava e pensava. Aveva un solo pensiero quello del suo amore per una fiorellina che aveva visto una volta sola un po' di tempo prima e a cui aveva rivolto un sorriso grande come il mondo. E il fiorellino da quel giorno era disperato, passava il suo tempo a tirare i suoi petali, "M'ama, non m'ama" diceva e alla fine rimaneva tutto nudo, solo con il calice e il polline in testa, e doveva aspettare dei giorni infreddolito che i petali ricrescessero per strapparli ancora.
Un bel mattino il vento ritorno' e una fiorellina bellissima cadde vicino a lui. Lui la guardava. Era lei! era proprio lei, caduta dal cielo, da un mazzo che si sarebbe perso in qualche occasione, in un matrimonio, o un evento importante, e il caso, la fortuna o il desitno aveva fatto proprio in modo che lei cadesse li in quel campo vicino a lui vicino. Abbastanza per vederla, troppo lontano per anche sfiorarla. Il fiorellino era un bel fiorellino erto su se stesso e fiero di essere tale. Non si era mai piegato fino ad allora, mai. Aveva sentito tante storie sui fiorellini che si piegano e che poi muoiono o si ammalano. Aveva il terrore di piegarsi. Da sempre. Il cuore batte' forte. La fiorellina sorrideva con i petali aperti che si confondevano nel verde dell'erba. Il cuore del fiorellino batteva che sembrava un tamburo scatenato. E senza neanche pensare ma solo sentendo si piego'.  Si piego' fino alla fiorellina, fino ai suoi petali, fino al suo polline che senti' posarsi su di lui. Una voce rompeva quel silenzio di campo di primavera che li avvolgeva. "Ti vengo a prendere" sussurrava il fiorellino a quei bei petali della fiorellina. "ti vengo a prendere". La strinse. Infine e la porto a se'. Fece spazio nella sua terra e nelle sue radici. La lascio' crescere e nutrirsi di cio' che si nutriva lui. Sono ancora li' quei due fiorellini che cantano e ridono insieme quando il vento li attraversa.

Monday, November 22, 2010

Kevin

Gli avevo detto di chiamare prima di partire da casa e cosi aveva fatto anche se mi aveva chiamato sul numero sbagliato per cui non ci eravamo sentiti. Mi affaccio alla finestra e lo trovo gia' li che lavora. Poteva almeno suonare mi dico. E rimango a guardare cosa fa. "Hi" pronuncio nel mio inglese-italiano e lui abbozza un cenno con tre chiodi in bocca, dall'alto della scala, estesa fino al tetto piu alto' della casa. E' un ragazzo che solo a vederlo lo sai che e' americano, con la faccia del nordico immigrato da un numero di generazioni sufficenti perche' le sue origini siano un ricordo lontano. Olandese o danese. Spalle larghe da palestra e occhiali neri a fascia. Poliziotto di certo. Le parole non sono il suo forte e io sono italiano e con le parole ci vivo. Bella coppia mi dico. E lui intanto continua il lavoro con una precisione che apprezzo e le parole di sicuro sarebbero un intralcio. Io e Kevin, un sole afoso di NYC, io sotto e lui sopra il tetto e il silenzio della mattina di un sobborgo americano per bene intorno a noi. Passa cosi'  tempo e le riparazioni sono quasi finite. Si muove agile sul tetto, pianta chiodi, sistema, rende nuovo cio’ che era consumato. “Kevin you better drink some water” spezzo il silenzio cosi'. E lui annuisce. Mette via gli attrezzi. La scala lunga, la tiene come un giocoliere del circo e la fa atterrare quasi silenziosamente sui supporti del suo camioncino. Lo invito dentro e preparo l’acqua. Frizzante. Toglie gli occhiali. Adesso sembra un bambino con il suo bicchiere in mano. E' poliziotto. Si e’ fatto male ad un piede. L’hanno messo in ufficio, e non e’ piu' fuori di pattuglia mi dice. Pattuglia?, che qui non succeede mai niente, al massimo gatti da tirare giu’ dagli alberi, ma non glielo dico. Kevin, magari un giorno mi darai pure una multa penso per aver parcheggiato storto. “Good job”  dico, perche’ e vero e si illumina di un sorriso, lo fa davvero perche’ gli piace questo lavoro. Kevin poliziotto operaio.